II Parte
L’HIV
non è la causa dell’AIDS
C’è un ampio consenso
scientifico sul fatto che l’HIV sia la causa dell’AIDS, tuttavia
qualcuno continua a contestare questo dato di fatto, per es. il
biologo Peter Duesberg, il biochimico David Rasnick, la giornalista
Celia Farber, lo scrittore Tom Bethell, Philip E. Johnson. (Qualche
scienziato che aveva inizialmente abbracciato le tesi negazioniste si
è poi ricreduto, tra cui il fisiologo Robert Root-Bernstein e Joseph
Sonnabend).
La patogenesi
dell’infezione da HIV è piuttosto chiara anche se alcuni punti
rimangono tuttora oscuri. Bisogna ammettere però che una perfetta
comprensione dei meccanismi patogenetici di una malattia non è un
prerequisito indispensabile per l’accertamento del fattore
eziologico. Spesso è accaduto che un agente infettivo sia stato
riconosciuto con certezza come fattore causale di una patologia molto
prima che il meccanismo patogenetico venisse delucidato.
Dal momento che le
ricerche sui meccanismi patogenetici sono complesse da effettuare
allorquando non è disponibile un valido modello animale, le precise
modalità con cui un agente patogeno infligge i suoi danni non sempre
sono chiare (come nel caso per es. della tubercolosi e dell’epatite
B), anche se la causa della malattia è accertata.
Per approfondire:
http://www.niaid.nih.gov/topics/hivaids/Pages/Default.aspx
L’AZT e
gli altri farmaci antiretrovirali causano l’AIDS, non l’HIV
La maggior parte dei
soggetti affetti da AIDS non ha mai assunto farmaci antiretrovirali,
e purtroppo, a tutt’oggi, solo una piccola percentuale dei malati
che risiedono nei Paesi in via di sviluppo ha accesso a questi
medicamenti (UNAIDS, 2003).
Negli anni ’80 venne
alla luce a seguito dell’effettuazione di sperimentazioni cliniche
che l’azidotimidina (AZT), il primo farmaco per la cura dell’AIDS,
determinava un aumento (seppur modesto) dell’aspettativa di vita
rispetto al placebo. Inoltre emerse che lo stesso farmaco, se assunto
da soggetti sieropositivi che non avevano ancora sviluppato l’AIDS,
riusciva a ritardare di un anno o due
l’insorgenza dell’AIDS stesso. Se fosse
proprio l’AZT a causare l’AIDS, nei soggetti che lo assumevano
avrebbe dovuto verificarsi al contrario un eccesso di casi di AIDS (e
di morti) rispetto al placebo, quando invece si verificava il
contrario .
Studi clinici successivi
appurarono che la combinazione di due farmaci antiretrovirali
aumentava del 50 % il ‘tempo di latenza’ prima della
progressione in AIDS rispetto alla monoterapia.
Più recentemente, la
combinazione di tre farmaci ha
reso possibile un ulteriore incremento del 50-80 % sia nella
sopravvivenza dei pazienti che del tempo di progressione in AIDS
rispetto alle terapia con due farmaci (Knoll B et al., Internal
Journal of Dermatology, 2007).
In sintesi, l’introduzione
e l’utilizzo di combinazioni antiretrovirali sempre più potenti ed
efficaci ha consentito la drammatica riduzione della progressione in
AIDS e della mortalità AIDS-correlata, un risultato decisamente
improbabile se fossero questi stessi farmaci a causare la malattia
(Palella FJ jr. et al., New England Journal of
Medicine; Mocroft A. et al, Lancet,
2000; De Martino M. et al., Journal of the
American Medical Association, 2000).
L’AIDS è
provocata da fattori comportamentali come l’avere numerosi partner
sessuali e l’utilizzo ripetuto di stupefacenti
L’epidemia di AIDS è
caratterizzata dall’insorgenza di infezioni opportunistiche, come
la polmonite da Pneumocystis carinii (PCP),
che prima della comparsa dell’HIV erano decisamente rare (NIAID,
2005).
Attraverso alcuni studi
abbiamo ormai ottenuto prove schiaccianti contro “l’ipotesi
comportamentale” dell’AIDS : in questi studi sono state seguite
per lunghi periodi di tempo coorti di uomini omosessuali e tra di
essi solo quelli sieropositivi sviluppavano
l’AIDS.
Per es. in uno studio
longitudinale prospettico condotto a Vancouver una coorte di 715 di
uomini omosessuali è stata seguita per 8,6 anni (mediana). 365 erano
sieropositivi (quindi 350 erano sieronegativi per l’HIV). Tra i 365
sieropositivi, alla fine del periodo di osservazione 136 hanno
sviluppato l’AIDS. Nessuno tra i 350 uomini
sieronegativi ha sviluppato l’AIDS sebbene
abbiano ammesso di aver fatto uso di popper e
sebbene abbiano avuto frequenti rapporti anali ricettivi (Schechter
MT et al., Lancet,
1993).
Altri studi hanno
confermato che l’insorgenza del particolare deficit immunitario che
caratterizza l’AIDS (una progressiva e sostenuta riduzione dei
linfociti CD4 +) è estremamente raro in omosessuali e
tossicodipendenti endovena sieronegativi salvo in presenza di altre
condizioni che determinano immunosoppressione. Per es. nel
Multicenter AIDS Cohort Study (MACS),
più di 22000 misurazioni ematiche di linfociti T in 2713 uomini
omosessuali HIV negativi hanno rilevato solo
un soggetto con una conta di linfociti CD4 +
persistentemente al di sotto di 300/µl
e si trattava di un paziente che stava ricevendo una terapia
immunosoppressiva (Vermund SH et al., New
England Journal of Medicine, 1993).
In un altro studio
effettuato a New York su 229 soggetti sieronegativi e dediti all’uso
di stupefacenti per via endovenosa, il conteggio medio di linfociti
CD4 + era saldamente > 1000/ µl.
Solo due tra di essi presentavano un conteggio < 300/µl,
uno dei quali è deceduto per cardiopatia e linfoma non-Hodgkin come
riportato ufficialmente tra le cause di morte (Des Jarlains DC et
al., Journal of Acquired Immune Deficiences
Syndromes, 1993).
La
trasmissione dell’AIDS attraverso le trasfusioni non è dovuta
all’HIV ma alla comunanza di condizioni patologiche sottostanti tra chi riceve le trasfusioni
Com’è noto la
trasfusione di sangue è la modalità con cui si ha la massima
probabilità di trasmissione del virus: si calcola che trasfondendo
sangue da un soggetto HIV + ad uno HIV – la trasmissione del virus
avvenga 9 volte su 10 (Smith DK et al., 2005).
I dissidenti,
cioè coloro che sostengono che l’AIDS non è provocata dall'HIV,
sostengono che questo fatto è spiegabile ammettendo che coloro che
hanno bisogno di una trasfusione spesso sono affetti da condizioni
patologiche uguali o similari quindi albergherebbero già prima della
trasfusione stessa la “causa” dell'AIDS.
Questa teoria è stata
confutata dal Transfusion Safety Study Group (TSSG) che ha paragonato
due gruppi di soggetti affetti da patologie simili che hanno ricevuto
delle trasfusioni di sangue: alcuni di loro erano HIV positivi, altri
erano HIV negativi. All'incirca 3 anni dopo la trasfusione, i 64
soggetti HIV negativi presentavano un conteggio medio di linfociti
CD4 + pari a 850/µl, mentre
nel caso dei 111 HIV positivi le cellule CD4 + erano mediamente
375/µl. Fino
al 1993 di sono presentati 37 casi di AIDS nel gruppo dei
sieropositivi e neppure un caso tra i sieronegativi
( Donegan E et al., Annals of Internal
Medicine,
1990; Cohen J. et al., Science,
1994).
Puoi leggere la prima parte dell'articolo qui: http://www.ternario.net/2013/04/fraintendimenti-e-leggende-sullhiv-e.html
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